I porti imperiali

Nel II sec. a.C., in età repubblicana, il sistema portuale a servizio di Roma si basava sui porti marittimi di Ostia, alla foce del Tevere e di Pozzuoli (Puteoli), nel golfo di Napoli e sullo scalo fluviale interno della città, l’emporium, realizzato sulla riva sinistra del Tevere nella pianura ai piedi dell’Aventino (attuale rione di Testaccio) che divenne rapidamente il centro logistico della città.

La forte crescita demografica di Roma, avvenuta tra la tarda età repubblicana e la prima età imperiale (I sec. a.C./I sec. d.C.), e i conseguenti problemi di approvvigionamento della città, mostrarono i limiti logistici del sistema portuale repubblicano: l’insufficiente capacità del porto di Ostia e l’eccessiva lontananza di quello di Pozzuoli.

La gravità della situazione indusse l’imperatore Claudio a far costruire, a partire dal 42 d.C., un nuovo scalo marittimo  a circa 3 km a nord di Ostia. Il progetto di Claudio comprese la realizzazione di un grande porto che occupava una superficie di ca. 200 ettari e di alcuni canali per contenere le piene del Tevere e per collegarlo al nuovo sistema portuale. Il grande porto  tuttavia si mostrò presto poco sicuro in confronto alle tempeste e con tendenza a  insabbiarsi. Meno di cinquant’anni dopo, Traiano ( inizi del II sec. d.C.) fece riprogettare il porto, scavando un bacino interno esagonale di circa 32 ettari, collegato con quello di Claudio  (comunque ancora in funzione e utilizzato come rada esterna) attraverso un ampio canale, e realizzando a sud-est del nuovo porto un altro canale che consentiva di migliorare il sistema di collegamento  con il Tevere.  Negli stessi anni, Traiano fece costruire anche il porto di Centumcellae (Civitavecchia), 80 km a nord di Roma.

Intorno alle nuove strutture portuali crebbe nel tempo un gigantesco centro logistico, la città di Portus, che divenne il principale scalo marittimo di Roma, capace di assolvere la sua funzione almeno fino al VI-VII sec. d.C.

Con la costruzione di Portus sia Pozzuoli che Ostia non cessarono di funzionare, ma anzi furono potenziati: il primo in quanto organizzato centro portuale a sud di Roma in un’area di grande importanza economica, la seconda come porto alla foce del Tevere e grande polo amministrativo e commerciale, legato direttamente alla città attraverso il Tevere e la via Ostiense, e collegata a Portus  con un canale e la via Flavia-Severiana. Ostia rimase il cuore amministrativo del sistema fino agli inizi del IV secolo d.C. quando, con l’imperatore Costantino, Portus divenne municipio autonomo, indice della sua importanza vitale come centro di approvvigionamento di Roma.

Il Porto di Claudio

Progettata e iniziata a costruire sotto Claudio e inaugurata da Nerone nel 64 d.C., l’imponente infrastruttura doveva assicurare un bacino dove effettuare senza pericolo il carico e lo scarico delle merci dalle grandi navi onerarie che giungevano da tutto il Mediterraneo e il loro trasbordo sulle imbarcazioni fluviali (naves caudicariae) adatte alla risalita del Tevere fino a Roma.

Il bacino portuale fu scavato in parte nella terra ferma e in parte proteso verso mare ed era delimitato da due grandi moli convergenti verso l’ingresso ovest. Qui, su un’isola artificiale, sorgeva un faro a imitazione del celebre faro di Alessandria d’Egitto, che segnalava l’ingresso del porto. Un altro ingresso doveva trovarsi a nord nell’area a ridosso dell’aeroporto, tra l’edificio dell’attuale Museo delle Navi e gli edifici dell’aeroporto. Il progetto di Claudio aveva previsto lo scavo di una serie di canali artificiali tra cui la cd. Fossa Traiana (una delle fossae ricordate in un’iscrizione del 46 d.C.) che assicuravano il collegamento tra il mare, il porto stesso e il Tevere dove le merci destinate a Roma venivano caricate  su chiatte; appartiene all’impianto del I sec. d.C. anche la Darsena, un bacino interno più piccolo destinato ad imbarcazioni di piccolo cabotaggio, collegata alla Fossa Traiana attraverso un altro canale, il canale di comunicazione trasverso.

Le fondazioni  di uno dei grandi moli (quello destro o settentrionale) sono ancor oggi visibili alle spalle del Museo delle Navi dove si estendono per un’estensione di circa un chilometro verso occidente, mentre sulla banchina che delimitava il bacino portuale verso terra sono visitabili alcuni edifici di servizio del porto: la cd. Capitaneria, una cisterna e degli edifici termali, realizzati però in un’epoca posteriore (II sec. d.C.) all’impianto di Claudio.

Il bacino di Claudio, troppo grande ed esteso verso il mare, si dimostrò poco sicuro perché esposto alle tempeste e con una tendenza all’insabbiamento, per questo, probabilmente tra il 110 e il 117 d.C. l’imperatore Traiano fece ristrutturare ampliandolo l’intero sistema del porto.

Il Porto di Traiano

Il fulcro del nuovo porto era rappresentato dal bacino (32 ettari) dalla caratteristica forma esagonale, fatto costruire dall’imperatore Traiano (probabilmente tra il 110 e il 117 d.C.), forse su progetto del famoso architetto Apollodoro di Damasco; si calcola che il porto esagonale potesse permettere l’attracco contemporaneo di ca. 200 grandi navi. La realizzazione del nuovo bacino e di un nuovo canale nell’area compresa tra l’esagono ed il Tevere, non comportò la dismissione del grande porto esterno di Claudio che dunque continuò ad essere in funzione come rada. Il bacino esagonale era collegato a quello di Claudio, attraverso un canale interno. Anche il sistema dei canali interni realizzato da Claudio proseguì ad essere utilizzato così come la Darsena; le merci quindi continuavano ad essere caricate su imbarcazioni che dalla Fossa Traiana, l’attuale canale di Fiumicino, raggiungevano poi il Tevere. Due strade, la via Portuense e la via Flavia-Severiana, affiancavano le vie d’acqua in direzione di Roma e di Ostia.

Intorno al bacino esagonale venne edificata una serie di grandi edifici di servizio destinati soprattutto all’immagazzinamento ed un tempio. Anche sui moli lungo i canali di collegamento furono realizzati magazzini e, ma in un epoca successiva all’età traianea, anche un complesso termale. In un’area compresa tra i bacini di Claudio e di Traiano, in un punto centrale del sistema, venne costruito il cd. Palazzo Imperiale ed altri edifici amministrativi ad esso associati. Nella stessa area sono stati recentemente individuate strutture forse pertinenti ad arsenali, i probabili cantieri navali.

I magazzini, gli horrea in latino, sono i principali edifici presenti a Portus. Insieme ai grandi magazzini di Testaccio a Roma, alle spalle del porto fluviale, rappresentano la più grande area logistica della città antica.

I cd. Grandi Magazzini di Traiano, i successivi Magazzini di Settimio Severo e il continuo intervento di ampliamento e restauro di questi edifici fanno di Portus uno dei più importanti centri di ricerca per capire come erano fatte e funzionavano le strutture di stoccaggio nel mondo romano, il cui ruolo era fondamentale per l’approvvigionamento e il nutrimento della popolazione.

Il porto fluviale di Roma: l’emporium e Testaccio

A partire dal II secolo a.C. l’area di Testaccio ai piedi dell’Aventino fu scelta per la costruzione di un nuovo porto fluviale sul Tevere. Il nuovo attracco era costituto da un’area recintata e lastricata, con ormeggi per le barche. Per gestire le variazioni di livello dovute alle piene del fiume, lo scalo venne nel tempo ingrandito e strutturato con banchine pavimentate a grandi lastre di travertino, con pietre forate per l’ormeggio e usate come piazzale di scarico nei periodi di piena. Nel I sec. d.C. alle spalle venne realizzato un edificio su tre piani costituito da una doppia serie di grandi ambienti ricoperti a volta e allineati secondo l’asse del fiume, illuminati da lucernari verso il Tevere e da larghe porte carraie sul lato opposto. L’edificio venne in seguito ampliato con una nuova struttura formata da una serie di camere chiuse da un grande muraglione inclinato e altri ambienti interni illuminati dai lucernari.

Alle spalle del porto venne costruito, nel II sec. a.C., un gigantesco edificio di servizio, la Porticus Aemilia, lungo 487 m e largo 70 m, formato da 52 navate aperte verso il fiume. Nel tempo alle spalle sorse il quartiere commerciale di Roma, con grandi magazzini, servizi e la discarica del Monte Testaccio.

Dal porto al parco. Il paesaggio attuale del porto di Traiano

Il parco del Porto di Traiano è un paesaggio di grandissimo valore culturale e naturale, in cui i resti dell’antico impianto portuale si legano al patrimonio arboreo e agli specchi d’acqua, in una unità armonica resa suggestiva dalle tracce del tempo e dall’ambiente creato con la bonifica delle paludi nei primi decenni del 1900. Il parco sorge sul terreno di sedimentazione depositatosi in circa duemila anni nell’antico bacino portuale che, all’inizio dell’età moderna (xv secolo), era ormai completamente insabbiato e trasformato in palude. Nel 1924 Giovanni Torlonia, con l’intento di trasformare il sito in tenuta agricola modello, iniziò quelle opere di bonifica idraulica e di piantumazione che trasformarono radicalmente l’area quale noi possiamo vederla, nelle sue linee essenziali, ancora oggi.

Le specie impiegate sono di tipo comune in Italia, ben adattabili al clima e al substrato, in grado di svolgere compiti ben precisi, ad esempio come diaframmi frangivento. Le uniche linee estetiche e geometriche riconoscibili sono quelle dei filari di alberi: platano, cipresso, pino leccio, eucalipto (Platanus ibrida, Cupressus sempervirens, Pinus pinea, Quercus ilex, Eucalyptus globulus), lungo i viali e intorno alla Darsena.

Il criterio adottato dallo Stato per l’intervento di riqualificazione dell’area del Porto di Traiano come Parco Archeologico Naturalistico (1997-1998) è stato quello di consentire la lettura dell’antico porto nel rispetto e nella valorizzazione dell’importante patrimonio naturale, di mantenere e gestire le associazioni vegetazionali create con la bonifica creando un equilibrio tra resti antichi e vegetazione, favorendo l’evoluzione naturale del paesaggio.

Nelle aree dove prima c’era il mare è stata scelta una vegetazione bassa a prato per consentire, in un’area ormai completamente interrata, la spazialità dello sguardo e l’idea delle acque nel bacino portuale.

Un accorgimento simile, ma con applicazione quasi opposta, è stato adottato nell’antica Darsena dove è stata mantenuta la vegetazione palustre composta da canne che, ondeggiando al vento, potessero ricordare il movimento e il rumore del mare.

L’utilizzo dell’Eucalyptus, quale pianta adatta a terreni fortemente umidi, deriva invece dalle opere di bonifica.

Un indicatore importante è costituito nell’area dalle specie di licheni. Bioindicatori della qualità dell’aria, sia con la loro presenza e, ancor più, con la loro assenza, sono specie in grado di fornire informazioni importanti di un parco che costituisce un polmone verde all’interno di un territorio molto antropizzato.